28 febbraio 2011

Luigi di Ruscio, tanti poeti dentro uno solo


IL RICORDO. Mercoledì 23 febbraio si è spenta una delle voci più potenti e originali del panorama letterario italiano. Più di 50 anni trascorsi nell’estremo Nord Europa.

Articolo di Mauro Francesco Minervino

Luigi di Ruscio is dead. The 23 of february 2011 at 4:00 AM. Un’email aperta troppo tardi. Partita dallo stesso indirizzo di posta elettronica che era di Luigi, da vivo. L’ho letta che era pomeriggio. È firmata dal figlio, Adrian. Nient’altro. Cosa c’entrava con la letteratura italiana un operaio? Uno che lavorava in una fabbrica di chiodi, a Oslo, in Norvegia? Luigi Di Ruscio, classe 1930, era un poeta italiano. Una voce vera, potente e originale come poche altre. Poeta autodidatta nell’Italia del dopoguerra, muratore disoccupato e militante di base nel Pci di Palmiro Togliatti, poi emigrante in Norvegia.

Di Ruscio è stato molti uomini insieme. Molti poeti dentro uno. Lo hanno chiamato poeta operaio. Definizione senza dubbio riduttiva. Ha vissuto, ha scritto ed è morto altrove, lontano. Più di 50 anni trascorsi nell’estremo Nord d’Europa. È vissuto in Norvegia dal 1957, quasi ininterrottamente, fino al giorno che è morto. C’era arrivato da Fermo, città delle Marche dove era nato. La scelta di emigrare dopo i primi stenti, le frustrazioni e le lotte sociali del dopoguerra. La civile e fredda Scandinavia, meglio dell’angustia bigotta e disperata di certa provincia italiana anni ‘50.

Viveva a Oslo. Una moglie, una famiglia e una vita in quel paese. Di Ruscio principia tutto sfondando confini, frequentando gli antipodi. «Io amo la Norvegia e anche mia moglie nordica, in Italia non avevo mai capito bene che vivevo in un pianeta, tanto ero immerso nel mio specifico», aveva scritto. In Norvegia Di Ruscio era rimasto per conquistarsi una soglia di vita minima, uno status umano definitivo. Sposa Mary Sandberg. Hanno quattro figli e vivono in una piccola casa popolare. La sua vita non sarà mai quella del poeta o del letterato. È quella anonima del lavoratore salariato, del metalmeccanico nella grande fabbrica metallurgica.

Già le sue prime poesie dicono di una fatica senza rimedio, di un mondo operaio segregato e dolente. La condizione marginale invece che affievolirlo col tempo ha acuminato il suo sguardo. Libri, vita di fabbrica e passione politica, tutt’uno con lo spirito sovversivo e fluviale. La sua lingua quotidiana era per forza di cose il norvegese. Ma la sua poesia e la sua lingua ciancicata e fantasiosa rifluivano ampie da una mescola di italiano ultracolto e sgrammaticato, impastato alle fonte mai inaridita del dialetto di casa. Le sue Marche e l’Italia del dopoguerra restavano coinvolte in ogni parola, indimenticate. A lui si deve una lingua d’invenzione, un bolo continuamente rianimato e rimasticato a memoria, nel vantaggio dialettico e straniato della distanza.

Parole di una poesia dura e vera, ironica e sacrale, da grande eresiarca medievale. L’italiano lo riservava alla poesia, prodotta a ondate inarrestabili nell’arco di decenni, nelle ore rubate al sonno e dopo la fatica del lavoro. Un lavoro di fatica che stritolava muscoli e nervi. Nervi che dopo restavano scoperti di rabbia, medicati di poesia. Sfruttamento che però Di Ruscio non ha mai isterilito nell’odio.

Nella sua poesia c’è spazio per l’epica del lavoro (l’alienazione primitiva di una fabbrica di chiodi), un sentimento religioso kantiano e mangiapreti, un’antica e robusta fame di giustizia che si manifesta in invettiva rauca e copiosa. Di Ruscio è stato il poeta ruzzante di un corpo mai separato dall’anima e della quotidianità. La sua ostinazione etico-politica, il suo comunismo poetico, unito alla sua olimpica trascuratezza per le strategie letterarie, hanno fatto il resto.

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2 febbraio 2011

L'arte di Cagol sfiora il Polo Nord


Video e installazioni nella Norvegia artica

Trentino, 2 febbraio 2011
L'artista trentino Stefano Cagol, impegnato nella realizzazione del monumento che caratterizzerà la nuova rotatoria A22 di Trento sud, è stato invitato in Norvegia oltre il Circolo polare artico per realizzare un importante progetto artistico, tanto che proprio oggi ad officiare l'inaugurazione sarà la regina Sonja di Norvegia in persona, alla presenza del ministro degli Affari esteri norvegese e dell'ambasciatore italiano a Oslo Antonio Bandini e sua moglie. Parterre reale quindi per dare inizio a un anno nuovo che vedrà l'artista nei prossimi mesi protagonista in prima persona anche a New York, a Roma e a Venezia. Nell'estremo nord della Norvegia, a Kirkenes, Cagol ritorna dopo una permanenza iniziata lo scorso novembre per realizzare nuove opere video e preparare un progetto installativo. Nella regione artica di Barents, al confine con la Russia, si è spinto ai confini con le distese di neve, con la natura, con l'avanzare della marea, col calare della luce solare, col soffiare delle tempeste ghiacciate per realizzare una serie di opere video dal titolo "Evoke Provoke (the border)", evocare e provocare il confine. Nel corso di febbraio questi video saranno parte del Barents Spektakel, il festival più importante del nord della Norvegia, mentre la cittadina sarà invasa da una sua installazione site-specific: sedici bandiere marcate con termini legati all'idea di confine nelle tre lingue del luogo, la lingua ufficiale norvegese, il russo parlato da gran parte della popolazione di lavoratori immigrati e pendolari del confine, e il tradizionale saami della minoranza etnica lappone. Dopo la cerimonia d'apertura in Norvegia, Cagol si sposterà a New York, dove inaugurerà la sua seconda mostra personale americana. Si terrà a partire dal 17 febbraio nella galleria Priska C. Juschka Fine Art nel quartiere di Chelsea. Sarà poi in un'altra capitale, questa volta italiana, la tappa successiva: una mostra personale a Roma da Oredaria Arti Contemporanee a partire da maggio. Sarà quindi il momento dell'evento più importante per l'arte internazionale: la Biennale di Venezia. In questa cornice e in una sede d'eccezione l'artista trentino sarà protagonista con una mostra personale a partire da giugno per sei mesi.