di ALFREDO D´AGNESE
La Repubblica, Napoli, 11 gennaio 2010
L´ultimo capitolo della sua storia l´ha scritto nove anni fa quando ha preso la sua "Due Cavalli" verde, un computer Mac, le foto dei ricordi e duemila euro per lasciare Napoli, destinazione Norvegia. Un taglio netto con il passato, un cambiamento radicale per Dino Luglio, classe 1950, una laurea in amministrazione industriale con specializzazione in marketing ben utilizzata nel mondo della ristorazione. Oggi vive in una "hytte", una baita in legno, a 30 chilometri da Oslo, nella foresta norvegese a 200 metri dal Bundefjord (la fine del fiordo di Oslo), ha aperto una trattoria con musica italiana dal nome accattivante, "Amundsen & Nobile", e può coltivare un suo vecchio sogno, quello di cantare.
Dice di non avere «nessuna nostalgia per Napoli e per i suoi eterni problemi», ma stasera alle 20 proverà un tuffo al cuore quando comincerà l´ultima notte del suo City Hall Café, fondato esattamente trent´anni fa. Rivedrà amici, volti noti e saluterà chi ha amato il locale di Corso Vittorio Emanuele. È una festa a inviti. Per Luglio quasi una resa dei conti con le proprie emozioni. Il City Hall è stata la summa della sua attività imprenditoriale: più di 15 locali aperti tra Napoli e Milano. Al fiuto per gli affari ha unito una non comune capacità di captare i segnali di rinnovamento, i venti del cambiamento.
Dal buen retiro norvegese guarda alle cose di Napoli con serenità. Sta scrivendo due libri a metà strada tra «le mie memorie» e la cronaca degli ultimi quattro decenni di vita sociale in Campania. Senza nostalgia, «guardando sempre avanti». «Cinque anni fa - dice - con l´aiuto di un pool di amici napoletani, ho aperto Amundsen & Nobile. Pochi in Italia sanno che un napoletano d´adozione e un norvegese sono stati i primi a volare sul Polo Nord. Dopo la trasferta di amici come Gino Mastrocola, Gianni Carbone e piú recentemente Edoardo Bennato sono riuscito a insegnare la musica napoletana e italiana a seri musicisti norsk, che hanno gradito molto, a tal punto che spesso chiedono loro se sono napolitansk».
Gli scappa un sorriso, uno di quelli contagiosi e forti, in linea con la sua schiettezza che ne ha fatto involontariamente un agitatore culturale, un mestatore di anime. In quasi sessant´anni ha vissuto spericolatamente senza arretrare dinanzi a nessuna emozione. Anche rischiando di andare controcorrente. Durante i giorni del City Hall ha fondato Radio Med che ha trasmesso per dieci anni dalla cima del Vesuvio, negli anni Novanta è stato candidato al Senato. È il suo passato. Non ha rimpianti. Così dice. E aggiunge: «Sono contento di stare qui».
L´ex re della movida napoletana vive una nuova stagione, ma non si sottrae a uno sguardo sul presente partenopeo: «Quello che so lo leggo da Internet. Non vedo piú un legame stabile tra cultura e business, tranne qualche lodevole tentativo del museo Madre, ovviamente avversato da tutto il resto della città. L´invidia rimane una bruttissima bestia a Napoli. Con Happy Rock, Hard Rock, Banana Split, Caffé Nobile, Gnam, Slurp, Antica Birreria, io ho coltivato il sogno di sdoganare la cittá da tradizioni talvolta apprezzabili, ma spesso mirate a nascondere il progredire dei tempi (pizza, mandolini, neo-melodici). Ecco perché, in contrasto, proponevamo hamburger, chitarre elettriche, jazz & rock».
È il preludio a un impietoso j´accuse alla città: «Se esiste oggi una grandissima delinquenza è anche per grave colpa della borghesia che, nel migliore dei casi investe in acquisto parassitario di immobili e trasferisce fuori dalle mura i suoi momenti di incontro». Le sue grandi passioni sono lo sci («adoro lo slalom, ma qui in Norvegia è di gran lunga surclassato dal fondo») e la musica in generale. Ha due figlie. La prima, Emanuela, ha 33 anni, è sposata con un norvegese e vive a Oslo; la seconda, Astrid, ne ha 21, e studia design industriale a Milano. Sono il frutto di due precedenti matrimoni. «Con le mie due ex mogli napoletane sono in ottimi rapporti...».
Non lo dice apertamente, ma la movida napoletana l´ha inventata lui. «Nel febbraio 1976 e nel febbraio 1977 - ricorda - ho aperto due locali che con il loro successo avrebbero segnato un cambiamento nel modo di vivere la notte a Napoli: l´Happy Rock di via Bausan con Gennaro de Pasquale e l´Hard Rock di via Ascensione con Ghery Giordano. Il primo era il ritrovo dell´intellighenzia radical-chic; il secondo era molto diverso, un tipico specchio dei tempi: la fine degli anni ‘70 con tutti i lati positivi e negativi del momento. Il successo è stato così travolgente da richiamare folle di giovani che fino ad allora non avevano avuto la possibilità di frequentare posti alternativi ma solo locali tradizionali. Finalmente ci si poteva sedere al lume di candela, davanti a un panino o a una fonduta, senza dover per forza andare in uno stereotipato ristorante con vecchi camerieri distratti che ti servono con l´orologio in mano, aspettando di andare a casa. Si poteva anche ascoltare buona musica, registrata o addirittura live, come in tutte le grandi cittá del mondo».
È stata, nel bene come nel male, una piccola rivoluzione. Come un direttore d´orchestra Luglio ha dato il "la" a una mutazione nelle abitudini dei napoletani. Chi ha amato la musica nei suoi locali ha trovato presente, innovazione, anche tradizione internazionale. Citare i musicisti che ha accolto sarebbe impresa ardua. In quegli anni, ricorda, «sono passati Bob Fix, Ernesto Vitolo e Gigi de Rienzo, accompagnati spesso al pianoforte da Brunello Florio e da Nicola "Vesuvio" de Luca alla batteria, insieme con Fabrizio Milano e Aldo Mercurio. Eugenio Bennato era spesso in compagnia di Alfio Antico e di una ragazza di nome Teresa, sí Teresa De Sio. La Rai proponeva alcuni servizi televisivi invitando un certo Pino Daniele all´inizio della sua carriera e, da Roma è arrivato un altro emergente, Antonello Venditti. Una sera, portato in incognito da Luciano Cilio, ha suonato per un paio di ore Luigi Nono».
Anni dopo, tra gli altri, vi si sarebbero anche esibiti Ritchie Havens e Arlo Guthrie, due eroi di Woodstock. Il City Hall è stato il completamento di un ciclo, la quadratura del cerchio. La "sala della città" ha ampliato e portato a compimento la rivoluzione silenziosa inaugurata due anni prima, allargando il raggio dalla musica all´arte, alla letteratura, al cinema, alla video arte. Non è un caso che lo spazio di Corso Vittorio Emanuele sia stato il primo internet café in Italia, abbia avuto il primo schermo gigante per proiettare i video che arrivavano dalla Mtv statunitense e abbia ospitato i primi rudimentali computer del 1980. «È stata la concretizzazione di quei sogni di innovazione, di europeismo e di internazionalizzazione che molti di noi coltivavano in privato», dice tra il serio e il faceto. Il suo slogan per la grande festa finale è "peace and love". «In un momento in cui la città è assalita e invasa da maggioranze di affaristi e maneggioni, dopo i munnezza-days gli utopisti vogliono rivedersi e ricordare che i sogni non sono la realtà, ma che se non si sogna la realtà non cambierà mai».
Nel frattempo è pronto a lanciare la prossima idea. «Il luogo in cui vivo è tanto accogliente che per l´estate sto cercando di trasformarlo in un agriturismo: piú turismo che agri, poichè il clima norvegese è quello che è».
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